Estranei a letto
La spinsi sul letto e la spogliai di fretta senza
romanticismo e senza guardarla negli occhi, solo per sbattermela con rabbia, lei
era solo la mia vendetta. Mercedez l’avevo conosciuta ubriaca la mia ultima
notte a Berlino dopo aver litigato con Arika.
Parlava inglese con un accento spagnolo. Il giorno seguente
mi disse di essere di Terragona, una piccola città vicino Barcellona.
Avevo passato tutto il giorno a pensare ad Arika: a cosa avevo
sbagliato, come mai mi aveva trattato come un perfetto sconosciuto, a
decidere se riscriverle o dimenticarla. Arrivai finanche a parlare con Dio quel
giorno, era una vita che non lo sentivo. Ma nemmeno lui potè darmi una
risposta, forse era impegnato con cose più importanti, dopotutto era sempre
occupato quando mi serviva. All’improvviso trovai la soluzione: il vino. Ma
all’una di notte, la mia unica speranza era il negozietto bangladesciano che
avevo visto tornando in ostello. Dio li benedica, sono sempre aperti! Alle 1.14
uscii dal negozio bangladeschiano giusto all’angolo dell’ostello, e vidi
venirmi incontro due ragazze sulla ventina, una alta e snella, l’altra bassa e
paffuta.
-
Hey bello! – mi disse quella alta sbraitando – io stasera
voglio scopare! –.
Le risposi con tono sarcastico – Andiamo amore! Sono 100
euro per tutta la notte.
Rise. Poi si staccò dall’amica che la sorreggeva e mi si butto addosso. Con una mano la sorreggevo, con l’altra mi tenevo il portafogli (i soldi prima di tutto). Mercedez non era una prostituta anche se faceva dei soffocotti di alto livello. Era alta, con i capelli rossicci, con poche tette (per le tette sono sempre stato sfortunato), ma il culo era bello, sodo e grande come piaceva a me. La farfallina tatuata sul polso destro, faceva pensare che avesse altri tatuaggi sparsi sul corpo, e più tardi ne ebbi conferma: una grossa fenice con le ali spiegate in fondo alla schiena proprio sopra il culetto e una fantasia floreale le saliva su dalle caviglie.
Rise. Poi si staccò dall’amica che la sorreggeva e mi si butto addosso. Con una mano la sorreggevo, con l’altra mi tenevo il portafogli (i soldi prima di tutto). Mercedez non era una prostituta anche se faceva dei soffocotti di alto livello. Era alta, con i capelli rossicci, con poche tette (per le tette sono sempre stato sfortunato), ma il culo era bello, sodo e grande come piaceva a me. La farfallina tatuata sul polso destro, faceva pensare che avesse altri tatuaggi sparsi sul corpo, e più tardi ne ebbi conferma: una grossa fenice con le ali spiegate in fondo alla schiena proprio sopra il culetto e una fantasia floreale le saliva su dalle caviglie.
Quella notte in ostello portai anche lei, per fortuna
avevo preso una camera doppia nella speranza che Arika volesse stare insieme a me(la speranza prima di tutto). Non fu una grande trombata, ma almeno mi sfogai.
Il letto traballante e instabile sembrava venire giù sotto i miei colpi. La
penetrai fino a quando mi disse di sentire dolore. Mi fermai, lo tirai fuori e
mi misi a un lato del letto con lo sguardo rivolto verso il muro bianco sporco,
quasi giallo. Triste, arrabbiato e ancora pieno di pensieri. Stremato dopo qualche ora, mi addormentai.
La mattina seguente facemmo colazione insieme e, come
sospettavo, non era una persona interessante ma faceva dei soffocotti di alto
livello, valeva la pena prendersi il numero.
Arrivai all’aeroporto Tegel di Berlino alle 15 e con i
piedi sopra la valigia bevevo il mio caffè lungo tedesco. Non so come fanno a
farlo così male. Beep Beep! Era un messaggio.
-
Mi dispiace – Arika mi scrisse – Non volevo finisse
così...vado a Parigi a studiare dal mese prossimo, vieni a trovarmi? –
Questa è pazza! Fu il mio primo pensiero. Non capivo!
Dopo avermi trattato come un pervertito lì davanti al caffè, ci eravamo seduti
senza quasi parlare. Non ci eravamo neppure più guardati.
-
Arika cosa succede? Perché mi tratti così? – le avevo
chiesto con voce sommessa e senza incrociare il suo sguardo.
-
Niente! – mi rispose secca.
-
Arika, non so cosa ti prenda, ma meglio chiuderla qui.
Me ne ero andato senza voltarmi e senza pagare il conto.
Ero nervoso, e non mi piace esserlo. Avrei voluto gridare e l’avrei finanche
insultata per quanto stavo male.
La mia risposta alla sua inaspettata richiesta di
rivederci fu un secco: - No, grazie.
Marco Tullio Cicerone trovò rifugio nella filosofia dopo la morte della amata figlia Tullia. Marco Magrildi preferiva rifugiarsi nell’alchool e affogare il suo dolore tra le braccia di altre donne. Ed infatti sabato sera invitò a cena Ania, la ragazza russa con la quale si vedeva di tanto in tanto e senza troppe pretese. Dopo la solita pasta al pesto e le due bottiglie di vino, i due si misero a letto e tra il profumo delle candele si cominciarono a toccare. Era disteso a pancia in su ed Ania era andata giù togliendogli i pantaloni come sempre. Con la bocca cominciava a massaggiarlo. Marco tuttavia avvertì subito qualcosa di strano. Ania aveva una tecnica sublime di leggeri sfioramenti alternati a profonde immersioni in gola. Usava la bocca e le mani con sensualità ed erotismo, poteva resuscitare i morti. L’uccello di Marco diede timidamente segni di vita dopo che la povera ragazza quasi sveniva senza fiato. Ania mise su il preservativo in fretta ma Marco non era eccitato e perdeva pressione. Cercò di resistere, pensò ai migliori film porno, alle ragazze che più lo avevano eccitato e, infine, ad Arika. Di colpo il sangue gli risalì verso il cervello, passando per il cuore. Si tirò via il condom e spostò Ania da un alto. Corse in bagno, si guardò allo specchio, si fece una doccia fredda nel tentativo di rianimarsi e rianimarlo. Niente! Aveva un grosso problema, si era innamorato sul serio.
Tornò a letto e Ania lo abbracciò, lui la allontanò. Si
girò dal lato opposto fissando il quadro di Frida Khalo appeso alla muro bianco
di casa sua e dopo qualche ora dormì.
-
E’ ancora valido l’invito a Parigi? – scrissi ad Arika
appena dopo aver salutato Ania ed essermi scusato per l’inconveniente tecnico.
-
Certo. – Mi rispose Arika entusiasta.
Un mese dopo ero all’areoporto Charles De Gaulle di
Parigi. La notte prima avevo lavorato fino alle due per finire di smistare
quante più pratiche e quel giorno avevo preso l’aereo alle 20.35 subito dopo
lavoro. Era il prezzo da pagare per andare in vacanza in piena chiusura di anno
e subito dopo le ferie di Natale.
– Nessuna aspettativa – mi aveva detto - Ci incontriamo
come amici e poi vedremo quello che succederà.
Arika e io avevamo viaggiato per tre week end di fila e
tutto era stato perfetto: il tempo, le chiacchierate, il sesso. Ma dopo
Berlino, avevo paura che qualcosa andasse storto di nuovo.
Non potevamo stare da lei perché condivideva la stanza
con Marie, una ragazza di Lyon. Arika aveva prenotato e pagato un
Bed&Breakfast in una stradina nella zona del Moulin Rouge. Era un
monolocale, con un letto piccolo e stretto in mezzo alle due pareti. Sembrava la
cella di una prigione, ma era la cosa più economica che avessimo trovato a
Parigi. Arika arrivò con una piccola borsa e mi saltò addosso. Aveva messo su
qualche chilo e un po’ di tette che la rendevano ancora più sexy e formosa. Nell’abbracciarla
sentii un brivido di serenità mista a paura. Era mezza notte passata e ci
mettemmo subito a letto. La abbracciai con pudore, le spostai i capelli dorati e
la baciai tra il collo e la spalla, come piaceva a lei.
– Io non voglio fare sesso con te! – mi disse con tono
serio e arrabbiato, guardando il soffitto. – Je suis vulnérable.
Mi disse "Sono vulnerabile" in lacrime con il suo accentino francese, come una bambina che si sveglia di notte e va nel letto dei genitori in cerca di sicurezza. Aveva insistito per prendere una stanza insieme, dormire nello stesso letto. Non capivo.
Mi disse "Sono vulnerabile" in lacrime con il suo accentino francese, come una bambina che si sveglia di notte e va nel letto dei genitori in cerca di sicurezza. Aveva insistito per prendere una stanza insieme, dormire nello stesso letto. Non capivo.
Ero stanco e assonnato, mi addormentai schiacciato al
muro bianco e freddo per evitare di toccarla involontariamente durante la notte.
La mattina seguente andammo a fare colazione. Il cielo
era grigio come il nostro umore. Incontrammo un mio amico artista alla
Cattedrale di Notre Dame. Gerard viveva lì in zona e dipingeva quadri lungo la Senna.
Pranzammo con lui ed Arika ne fu entusiasta. Gerard le propose di andare nel
suo studio a vedere i suoi dipinti e, perché no, di fargli da modella. Non
credo che ci stesse provando, era gay da quello che mi aveva raccontato.
Passammo davanti al Louvre ma non entrammo perché la fila
era troppo lunga. Al tramonto, le proposi di salire a Montmartre. Adoro vedere
il sole scendere giù dai gradini della chiesa
del Sacro Cuore. Avrei voluto prenderle la mano e camminare tra le
viuzze, i baretti con i tavolini fuori e le boulangerie come due innamorati,
come avevamo camminato per Roma, Firenze e Venezia. La chimica tuttavia non era
la stessa: ora i nostri sguardi si incrociavano e si baciavano impauriti e
formali, come se non si fossero mai visti prima. Salimmo le scale che portano
alla Basilica del Sacro Cuore in silenzio, guardando dritto in alto. Le dissi –
Ci sposiamo di nuovo anche qui? – Sorrise. Era bellissimo vederla sorridere di
nuovo.
Prendemmo la metro fino all’Arco di Trionfo e proseguimmo
lungo gli Champs-Elysées fermandoci a bere qualche bicchiere di vino (forse troppi).
Arrivati nella piazza sotto la torre Eiffel, trovai il coraggio di prenderle la
mano destra e con la sinistra sul fianco, provai a ballare un tango con lei.
Avevo passato l’ultimo mese a seguire un corso di tango
su Youtube, evidentemente non era servito. Anche in ufficio camminavo provando
il passo base. I colleghi mi credevano matto, e forse lo ero. Ballare da soli è
molto più facile – pensai - lo specchio non mi ha mai detto che usavo la mano
sbagliata.
Il cielo si era finalmente schiarito e le stelle pettegole
ci accompagnavano a casa. Immagino i loro discorsi: - Guardali questi giovani
di oggi, non sanno cosa vogliono. Litigano e fanno pace. Una volta era tutto
più facile: i matrimoni si combinavano – diceva la vecchia Dubhe mentre le
altre annuivano. La stella polare, invece, osservava in silenzio; per lei era
solo questione di tempo e quei due ragazzi avrebbero trovato la loro strada.
Quella notte eravamo ubriachi infelici, quelli con le
lacrime di vino agli occhi e la tristezza affogata nella birra.
Ero confuso, assonnato e mi reggevo in piedi a stento. Arika
camminava veloce e la persi in una piazzetta vicino la funicolare di Montmartre mentre mi sentivo
girare tutto intorno. Mi fermai a rilasciare parte dei liquidi accumulati
quella sera e poi corsi per una stradina e poi su per un’altra alla ricerca di
Arika. Corsi come corre un ubriaco, a passi grandi, inciampando e strusciandosi
ai muri. Eccola in fondo alla strada. La raggiunsi e la strinsi a me con
delicatezza, senza premere troppo per paura di una nuova reazione a un gesto di
semplice, sincera e infantile tenerezza. Mi concentrai e cercai un po’ di
lucidità. – Arika – le dissi a bassa voce all’orecchio mentre lei piangeva ed
io la stringevo al mio petto – è la nostra ultima notte insieme. Dubito che ci
rivedremo. Soli io e te a Parigi in una cameretta stretta è stato un errore, ma
io e te ci vogliamo bene. In media gli esseri umani hanno 29.200 giorni di
vita, i giorni tristi sono giorni usati male. – Un ragazzo più ubriaco di noi
ci cadde davanti e ci aiutò a rompere quel momento di tristezza e ridere
insieme di nuovo come quando eravamo felici.
Ci mettemmo a letto. Ci abbracciammo per la prima volta
sereneamente. Le baciai la fronte e le dissi buona notte voltandomi verso il
muro bianco. Mi svegliai qualche ora dopo e le nostre mani si sfiorarono – Ti
voglio bene. – esclamai d’istinto come un bambino che non sa mentire.
Andai in bagno e tornai. Andò in bagno anche lei e tornò –
Freddo, freddo! – disse mentre veniva a letto con la sua vestaglina bianca e
sottile. La abbracciai nuovamente per riscaldarla senza malizia e senza nessun
secondo fine. Si ritrasse ancora e si avvolse nelle coperte.
Mi voltai ancora verso il muro bianco e questa volta non
riuscii a trattenere le lacrime. Presi una coperta dall’armadio, me l’avvolsi e
mi misi su una sedia. Poi pensai che sarebbe stato più comodo dormire per terra
o nella vasca da bagno. Le provai entrambe, ma tornai a letto e mi voltai verso
il muro bianco.
Il sole spuntò dalla finestrella dietro al letto, Arika
dormiva raggomitolata tra le coperte con il suo nasino a punta che sbucava
fuori come quello di un coniglietto dalla tana. Quanto avrei voluto poterglielo
mordere, baciare e dirle – Buon giorno amore! -. Io, Marco Magrildi, avevo
avuto più di cento ragazze nella mia vita e raramente avevo detto “Ti Amo” ed
ora volevo gridarlo ad Arika, ma non potevo. Dovevo scappare, prima di farmi ancora più male.
Uscìì di casa in silenzio e mi fermai a fare colazione al
“Le Chat Noir”, l’unico bar aperto di domenica mattina in quella zona. In fondo
speravo che anche Arika venisse a fare colazione lì. Ed infatti entrò un ora
dopo.
Mi guardò con un’espressione di sdegno, si voltò e
scomparve dietro le vetrine del caffè.
9 mesi dopo...
Arika Lepetit non era una cattiva persona e non era
nemmeno pazza, o meglio non più squilibrata di altre.
Arika era dolce e affettuosa, interessante, piena di
energia, a volte debole come una bambina, altre forte come Giovanna D’arco.
Circa 9 mesi dopo, Marco ricevette una lettera. Dentro
c’era la foto di Arika con un bimbo. Marco fu preso da panico,
gioia e preoccupazione mentre fissava la
foto con gli occhi lucidi. Nella lettera Arika gli spiegò tutto.
A Berlino era successo qualcosa che l’aveva sconvolta e
che le avrebbe cambiato la vita. La notte prima che Marco arrivasse a Berlino,
c’era stata una festa nell’ostello dove Arika alloggiava. Arika aveva bevuto o
l’avevano fatta bere. Un ragazzo tedesco sulla trentina l’aveva tampinata tutto
il tempo. Approfittando della confusione e del suo stato, l’aveva portata in
bagno. Arika non ricordava bene cosa fosse successo lì dentro, ma il risultato
era chiaro.
Il bambino non poteva essere di Marco a meno che non fosse
nato di sette mesi (il che era alquanto improbabile secondo i medici).
Il giorno dopo presi il volo del 6.30 del mattino da Roma
a Bordeaux e anche questa notte non dormii. Arika era tornata a vivere a Bordeaux
con la madre che l’aiutava con il bambino.
Mi presentai con una rosa e un pigiamino per il piccolo. Si
chiamava Gerard, l’aveva chiamato come il mio amico gay. Era un fagiolino
bianchissimo di 3.5Kg con i capelli chiari e il nasino a punta della mamma.
Restai in città una settimana e le chiesi di fare il test
del DNA. Accettò. Mi portò a conoscere i suoi parenti, vedemmo la città,
portammo il bambino al parco come se fosse mio figlio. Non facemmo sesso e non
fu un problema. Il venerdì arrivò il risultato del test. Prima di aprirlo tirai
fuori l’anello che avevo comprato a Roma, mi inginocchiai e le proposi di sposarla.
Pianse. – Forse è meglio aspettare il risultato del test...– mi disse guardando
Gerard che teneva nella mano sinistra.
– Vi voglio sposare entrambi! – Le risposi.
Qualche mese dopo ci sposammo e stavolta per davvero. Arika e Gerard vennero a vivere con me a Roma. Ci trasferimmo in un appartamento in periferia dove
c’era l’ascensore e un bel giardino grande. Il nostro matrimonio durò 59 giorni,
ci costò più il divorzio che il matrimonio stesso. Non eravamo fatti per stare
insieme: io forse non ero pronto ad avere una famiglia e lei...boh lei non lo
so. Non so come mai non abbia funzionato tra di noi, ma dopotutto non so
nemmeno perché fosse iniziata.
Gerard non era mio figlio, ma in quei mesi lo avevo amato
come se lo fosse. Ed avevo amato Arika, e la amo anche ora che sono sposato con
Marie, la compagna di stanza di Arika che avevo conosciuto a Parigi e avevo poi
rivisto al matrimonio.
-
Non voglio stare con nessuno, io non appartengo a nessuno.
Arika mi aveva detto quando l’ultima volta l’accompagnai all’areoporto mostrandomi il braccialetto che aveva comprato a Berlino e su cui c’era scritto “I belong to no one” (io non appartengo a nessuno).
Arika mi aveva detto quando l’ultima volta l’accompagnai all’areoporto mostrandomi il braccialetto che aveva comprato a Berlino e su cui c’era scritto “I belong to no one” (io non appartengo a nessuno).
Ora vivo a Lyon con Marie da 5 anni e abbiamo una bambina
di 3 anni, Alexia.
Quando la accompagno all’asilo “Enfants Heureux”, mi
chiedo se anche lei farà perdere la testa a qualcuno come Arika aveva fatto con
me.
Come sono complicate le relazioni tra adulti, sembra che
più si invecchia più il cuore si complica, si chiude, si fa mille pensieri.
Sarebbe tutto molto più facile se facessimo come i bambini: un pezzo di carta,
una frase secca “ti vuoi fidanzare con me?” e due caselline da barrare “SI o
NO”. Ma anche da piccoli, dopotutto, c’era sempre la bambina più bastarda che disegnava
nel mezzo un’altra casellina con scritto “FORSE”.
N.G.G.
---
Part II
I
pushed her onto the bed and undressed her in a hurry, without passion and
without looking into her eyes, only to rammed her angrily, she was just my
revenge. I met Mercedez drunk on my last night in Berlin after arguing with
Arika.
She
spoke English with a Spanish accent. The following day she told me she was from
Terragona, a small town near Barcelona.
I had
spent the whole day thinking about Arika: what I have done wrong, why she had
treated me like a perfect stranger, deciding whether to write to her or forget
it. I even talked to God that day, it was a life I have not done. But even he
could not give me an answer, maybe he was busy with more important things,
after all he was always busy when I needed. Suddenly I found the solution: the
wine. But at one o'clock in the morning, my only hope was the Bangladesh shop I
had seen coming back to the hostel. God bless them, they are always open! At
1.14AM I came out of the Bangladesh shop just at the corner of the hostel, and
I saw two girls in their twenties coming toward me, one tall and slender, the
other short and plump.
- Hey
you! - the tall one told me shouting - I want to fuck tonight! -.
I
answered sarcastically - Come on, love! It’s only 100 euros for the whole night
-. She laughed. Then she left her friend who was holding her and went in my arm.
With one hand I was holding her, with the other I was holding my wallet (the
money first of all). Mercedez was not a prostitute even if she did some
high-quality blowjobs. She was tall, with reddish hair, with small tits (I was
always unlucky regarding tits), but her ass was nice, firm and big as I liked.
The butterfly tattooed on her right wrist, was suggesting that she had others tattoos
scattered over her body, and later I had confirmation: a large phoenix with
wings spread at the end of the back just above the ass and a floral pattern
rose up from the ankles.
That
night I also took her to the hostel, I had booked a double room in the hope
that Arika would be together. It was not a big fuck, but at least I vented. The
rickety and unstable bed seemed to come down under my blows. I penetrated her
until she told me to feel pain. I stopped, pulled him out and stood on one side
of the bed, looking at the white wall. Sad, angry and still full of thoughts. I
felt asleep exhausted after a few hours.
The
next morning, we had breakfast together and, as I expected, it was not an
interesting person but she did some high-quality blowjobs, it was worth taking
the mobile.
I
arrived at the Tegel airport in Berlin at 3:00 pm and with my feet over my
suitcase I drank my delicious long coffee. Beep Beep! It was a message.
- I'm
sorry - Arika wrote to me - I did not want to end this way ... I'm going to
Paris to study next month; do you want to come and see me? -
This
is crazy! It was my first thought. I did not understand! After having treated
me like a pervert there in front of the cafe, we had sat down almost without
speaking. We did not even look at each other anymore.
-
Arika what happens? Why do you treat me so? - I asked her in a low voice and
without crossing her gaze.
- Nothing! - She answered dryly.
-
Arika, I do not know what you're taking, but it's better to close it here. -
I had
left without turning back and without paying the bill. I was nervous, and I do
not like it. I wanted to scream and I would have even insulted her for how much
I was angry.
My
answer to his unexpected request to see each other again was a straight: - No,
thank you. -.
Marco
Tullio Cicero found refuge in philosophy after the death of his beloved
daughter Tullia. Marco Magrildi preferred to take refuge in the alcohol and
drown his pain in the arms of other women. And in fact, Saturday night invited
Ania, the Russian girl with whom he met from time to time and without too many expectations.
After the usual pasta with pesto and two bottles of wine, the two went to bed
and began to touch with the scent of candles around. He was lying on his back
and Ania had gone down, taking off his pants as usual. With her mouth she began
to massage it. Marco immediately felt something strange. Ania had a sublime
technique of light strokes alternating with deep dives in her throat. She used
her mouth and hands with sensuality and eroticism, she could reborn dead.
Marco's bird shyly gave signs of life after the poor girl almost fainted out of
breath. Ania put on the condom quickly (safety first of all) but Marco was not
excited and lost pressure. He tried to resist, he thought of the best porn
movies, the girls who had most excited him, and finally, Arika. Suddenly the
blood went back to the brain, passing through the heart. He pulled the condom
away and moved Ania to a side. He ran into the bathroom, looked at himself in
the mirror, took a cold shower in a desperate attempt to revive and revive him.
No way! He had a big problem, he really felt in love.
He
went back to bed and Ania hugged him, he pushed her away. He turned from the
opposite side, staring at the white wall with the picture of Frida Khalo and
after a few hours slept.
- Is
the invitation to Paris still valid? - I wrote to Arika just after saying
goodbye to Ania and apologizing for the technical inconvenient.
- Sure. - Arika replied enthusiastically.
A
month later I was at the Charles De Gaulle airport in Paris. The night before I
had worked until two o'clock to finish sorting out most of the papers and that
day I had taken the plane at 20.35 immediately after work. It was the price to
pay for going on holiday at the end of the year and immediately after the
Christmas holidays.
- No
expectations - she told me - We'll see each other as friends and then we'll see
what happens. -
Arika
and I had travelled for three weekends in a row and everything had been
perfect: time, chats, sex. But after Berlin, I was afraid something would go
wrong again.
We
could not stay with her because she shared the room with Marie, a girl from
Lyon. Arika had booked and paid a Bed & Breakfast on a small street in the
Moulin Rouge area. It was a studio, with a small, narrow bed between the two
walls. It looked like a prison, but it was the cheapest thing we had found in
Paris. Arika came with a small bag and jumped on me. He had put on a few pounds
and some tits that made her even more sexy and curvy. In embracing her, I felt
a shiver of serenity mixed with fear. It was half past night and we immediately
went to bed. I hugged her, shifted her golden hair, and kissed her between her
neck and shoulder, as she liked.
- I
do not want to have sex with you! - she said in a serious and angry tone,
looking at the ceiling. - Je suis vulnerable (I am vulnerable) - she told me in
tears like a child who wakes up at night and goes to the parents' bed looking
for a safe port. She had insisted on getting a room together, sleeping in the
same bed. I did not understand.
I was
tired and sleepy, I felt asleep smashed against the white wall to avoid
accidentally touching her during the night.
The
next morning, we went to have breakfast. The sky was grey like our mood. We met
an artist friend of mine at the Cathedral of Notre Dame. Gerard lived in the
area and painted paintings along the Seine. We had lunch with him and Arika was
enthusiastic about it. Gerard offered to go to his studio to see his paintings
and why not to picture her. I do not think he was trying to flirt with her, he
was gay.
We
passed the Louvre, but we did not enter because the line was too long. At
sunset, I suggested to go up to Montmartre. I love to see the sun coming down from
the steps of the Church of the
Sacré-Cœur. I wanted to take her hand and walk through the narrow streets, the little bars with tables outside and the boulangerie like two lovers, as we had walked through Rome, Florence and Venice. The chemistry, however, was not the same: now our eyes crossed and kissed each other frightened and formal, as if they had never seen each other before. We climbed the stairs that lead to the Basilica of the Sacré-Cœur in silence, looking straight up. I told her - Are we getting married here again? - She smiled. It was great to see her smile again.
Sacré-Cœur. I wanted to take her hand and walk through the narrow streets, the little bars with tables outside and the boulangerie like two lovers, as we had walked through Rome, Florence and Venice. The chemistry, however, was not the same: now our eyes crossed and kissed each other frightened and formal, as if they had never seen each other before. We climbed the stairs that lead to the Basilica of the Sacré-Cœur in silence, looking straight up. I told her - Are we getting married here again? - She smiled. It was great to see her smile again.
We
took the subway to the Arc de Triomphe and continued along the Champs-Elysées
stopping to drink a few glasses of wine (perhaps too many). Arrived in the
square under the Eiffel Tower, I found the courage to take her right hand and gently
touching with the other hand the left side, I tried to dance a tango with her.
- What are you doing? You took the wrong hand
if you want to dance tango, you must take the left. - she told me and pushed me
away without emotion.
I had
spent the last month to follow a tango course on Youtube, obviously it was not usefull.
Even in the office I walked trying the basic step, my colleagues thought I was
crazy, and maybe I was. Dancing alone is much easier - I thought - the mirror
never told me I was using the wrong hand.
The
sky had finally cleared, and the gossiping stars were joining us at home. I
imagine their speeches: - Look at these young people today, they do not know
what they want. They fight and make peace. Once it was all easier: marriages
were combined - old Dubhe said while the others stars nodded. The polar star,
instead, observed in silence; for her it was only a matter of time and those
two guys would have found their way.
That
night we were drunk unhappy, with tears of wine in our eyes and the sadness
drowned in beer.
I was
confused, sleepy and I could barely stand up. Akira walked fast and I lost her
in a small square near the Montmartre funicular, while I felt myself turning
around. I stopped to release some of the accumulated liquids that evening and
then ran down one lane and then up another to look for Arika. I ran like a
drunken man, with big steps, stumbling and rubbing against the walls.
Here she
was at the end of the street. I joined her and held her gently, without
pressing too much for fear of a new over-reaction to a gesture of simple,
sincere and inflexible tenderness. I concentrated and looked for a little
lucidity. "Arika," I whispered in her ear as she cried, and I held
her to my chest - it's our last night together. I doubt we'll see each other
again. Just you and me in Paris in a small room is a mistake, but you and I
love each other, I am sure of that. On average, humans have 29,200 days of
life, the sad days are lost days. - A boy more drunk than us fell down in front
of us and helped us to break that moment of sadness and laugh together again
like when we were happy.
We
went to bed. We hugged each other serenely for the first time. I kissed her
forehead and said goodnight, turning to the white wall. I woke up a few hours
later and our hands touched - I love you. - I exclaimed instinctively like a
child who cannot lie.
I
went to the bathroom and came back. She also went to the bathroom and came back
- Cold, cold! - she said as she came to bed with her tiny white dressing gown.
I hugged her again to warm her up without malice and without any second
purpose. She drew back once more and wrapped herself in the blankets.
I
turned again to the white wall, this time I could not hold back the tears. I
took a blanket from the closet, wrapped it up and put myself on a chair, then I
thought it would be more comfortable to sleep on the floor or in the bathtub. I
tried both, but, finally, I went back to bed and turned to the white wall.
The
sun came up from the window behind the bed, Arika slept curled up among the
blankets with her pointed nose popping out like a bunny from the den. How I
wished I could kiss and say - Good morning, love! -. I, Marco Magrildi, had
more than a hundred girls in my life and rarely did I said "I love
you" and now I wanted to say to Arika ... I had to get away, before things
get even worse.
I
left the house in silence and I stopped to have breakfast at "Le Chat
Noir", the only bar open on Sunday morning in that area. After all, I was
hoping that even Arika would come and have breakfast there. And indeed, she
entered an hour later.
She
looked at me with an expression of disdain, turned and disappeared behind the
windows of the cafe.
9
months later ...
Arika
Lepetit was not a bad person and she was not crazy either, or better, no more
unbalanced than others.
Arika
was sweet and affectionate, interesting, full of energy, sometimes as weak as a
child, others as strong as Giovanna D'arco.
About
9 months later, Marco received a letter. Inside was Arika's photo with a new-born
baby. In the order Marco was taken by panic, joy and concern as he stared at
the picture with his eyes shining. In the letter Arika explained everything to
him.
Something
had happened in Berlin that had unsettle her, that would have changed her life.
The night before Marco arrived in Berlin, there was a party in the Arika
hostel. Arika had drunk or had made her drink. A German boy in his thirties had
followed her all the time. Taking advantage of the confusion and her condition,
he had taken her to the bathroom. Arika did not remember well what had happened
there, but the result was clear.
The
child could not be of Mark unless he was born seven months (which was somehow
unlikely according to the doctors).
The
next day I took the 6:30AM flight from Rome to Bordeaux and even this night I
did not slept. Arika had returned to live in Bordeaux with her mother helping
her with the baby.
I arrived
with a rose and a pajamas for the baby. His name was Gerard, she had called him
as my gay friend. It was a very white little bean of 3.5Kg with light hair and
his mother's pointed nose.
I
stayed in the city for a week and asked her to take the DNA test. She accepted.
She took me to meet her relatives, we saw the city, we took the child to the
park as if he was my son. We did not have sex and it was not a problem. On
Friday the test result arrived. Before opening it, I took out the ring I had
bought in Rome, I knelt and offered to marry her. She cried. - Maybe it's
better to wait for the test result ... - she said, looking at Gerard, who she was
holding in her right hand.
- I
want to marry them both! I answered her. -
A few
months later we were married and this time for real, they came to live with me
in Rome. We moved to a flat in the suburban where there was an elevator and a
nice big garden. Our marriage lasted 59 days, it cost us more the divorce than
the marriage itself. We were not meant to be together: maybe I was not ready to
have a family and she…I do not know. I do not know why it did not work between
us, but after all, I do not even know why it started.
Gerard
was not my son, but in those months, I had loved him as if he had been. And I
also loved Arika, even now that I'm married to Marie, Arika's roommate I had
met in Paris who I met again some month after breaking with Arika.
- I
do not want to be with anyone, I do not belong to anyone. - she told me when I
took her to the airport showing me the bracelet she had bought in Berlin and on
which was written "I belong to no one".
Now I
live in Lyon with Marie for 5 years and we have a 3 year old daughter, Alexia.
When
I bring her to the "Enfants Heureux" kindergarten, I wonder if she
will make someone lose his head for her as Arika had done with me.
Relationships
between adults are complicated, it seems that the older we get, the more our
heart gets complicated, closed, making a thousand thoughts. It would all be
much easier if we were like children: a piece of paper, a straight sentence
"do you want to get engaged with me?" And two small tick boxes
"YES or NO". But also between the little ones, after all, there is
always a loony girl who writes on the paper "MAYBE".
N.G.G.
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